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Immagine del redattoreSimone Franceschini

Arti Marziali: fondamenti e nuove necessità

È possibile, al giorno d’oggi, aggiungere o addirittura scoprire qualcosa di nuovo nel mondo delle arti marziali e specialmente nel BJJ?

 

Una semplice domanda che apparirà forse fuori luogo alla totalità degli addetti ai lavori. D’altronde, la massiccia e capillare diffusione di qualsivoglia contenuto inerente la nostra arte marziale sembra mettere una pietra tombale sull’argomento, ancora prima del suo nascere. Chiunque abbia un briciolo di volontà di ricerca in rete può trovare veramente tutto quello di cui necessita.

 

Questo quesito tenterà i più, forse a ragione, di credere che il sottoscritto sia semplicemente alla ricerca di un momento di notorietà o, ancora peggio, alle prese con un’allucinazione momentanea.

 

Eppure io, non solo sono convinto che si possa aggiungere qualcosa d’altro, ma avanzo anche l’ipotesi che questa giovane arte marziale, grazie alle sue peculiarità ed al momento storico in cui è esplosa, racchiuda un potenziale ancora totalmente inespresso. Credo infatti che il suo più vivo contenuto debba ancora manifestarsi e, sebbene a primo impatto tale evoluzione possa sembra fuori da ogni ragione, sono certo che se avrete la pazienza necessaria per continuare a leggere, potrete rendervene conto senza troppe difficoltà.

 

Voglio subito mettere in chiaro che la semplicità nella comprensione di questo passaggio di consegne non dipenderà dall’erudizione o dalla bravura del sottoscritto nell’esporre e sistemare questi temi per la fruizione comune, quanto piuttosto da un sentimento interiore comune a tutti i praticanti: la necessita di individuare il senso assoluto da dare alla propria pratica, indipendentemente da ogni obiettivo transitorio, sia esso di natura sportiva o non.

 

Questo sentimento di ricerca, d’altronde, prima o dopo arriva per tutti i marzialisti, ma, forzatamente, per le cause più svariate, continuiamo ad associarlo a sfere di competenza inadeguate alla sua natura e che al massimo possono contenere tale necessita di evoluzione per un tempo limitato, salvo poi ripresentarsi con maggiore veemenza sotto forma d’insoddisfazione.

 

Questa insoddisfazione ciclica non può infine che portare ,nei più avveduti, alla sospensione della pratica marziale o, nei casi più gravi, ad una forzata convivenza, con il risultato, nel tempo, di una definitiva accettazione del tal stato delle cose.

 

Certo, uno sforzo da parte del lettore sarà necessario, su questo non c’è dubbio, ma sono convinto che se si affronteranno questi temi con un sincero atteggiamento scevro da pregiudizi, allora la visione generale e le possibili soluzioni che tenteremo di mettere in luce appariranno assolutamente sensate ed accessibili a chiunque.

 

Il primo punto che prenderemo in esame sarà, a prima vista, il più banale, ma anche quello in effetti più arduo da individuare come problema.

 

Esso consiste nella domanda fondamentale: Il bjj è un’arte marziale? E se si, in cosa consiste?

 

Ogni praticante ammetterà che si, il bjj è senz’altro un’arte marziale ed essa consiste nell’apprendere un sistema di combattimento in grado di permetterci di difenderci con la massima efficacia da un possibile aggressore. Ma ad un’attenta analisi scopriamo che questa risposta in effetti non fa che muovere le sue ragioni da due pregiudizi contemporanei ormai assodati, ovvero che l’Arte Marziale sia per tradizione un metodo di combattimento e, in quanto metodo, esso risieda fuori di noi: un’ipotetica meta da raggiungere attraverso una dura disciplina

 

Ma siamo sicuri che questo sia vero? Che la capacità di difendere sé stessi in un ipotetico scontro contro uno o più aggressori sia il perno centrale su cui si fondano le arti marziali? Siamo sicuri che il miglioramento avvenga attraverso la scoperta di una serie di nozioni e la loro conseguente ripetizione nel tempo?

 

A mio modo di vedere possiamo spingerci ben oltre questa prima deduzione.

 

Per quanto riguarda la difesa personale, ovvero la capacita di difendersi, dobbiamo ammettere che essa è a tutti gli effetti già un primo gradino e non il punto di partenza. Se vogliamo possiamo definirla la prima forma in cui l’essenza delle Arti Marziali si manifesta, non l’essenza stessa.

 

Il ritenere che la causa iniziale delle Arti Marziali sia la difesa personale e l’attività sportiva ad essa collegata sia un effetto evolutosi nel tempo è un errore grossolano perché, in verità, entrambe le attività sono effetti di una medesima causa prima, dello stesso impulso creativo.

 

L’una non dipende dall’altra, ma entrambe dipendono da una terza componente che rimane nascosta.

 

Ma qual è allora questa causa prima, questo impulso fondamentale delle arti marziali da cui possono derivare in seguito le varie attività ad essa legate?

 

Questa è la domanda fondamentale dalla cui risposta dipenderà il senso di tutta la pratica e la possibilità di evitare sul nascere la confusione che altrimenti ne dipenderebbe.

 

A mio modo di vedere non c’è dubbio che sia l’evoluzione interiore.

 

Questa è la causa prima della nascita delle arti marziali, l’evoluzione interiore attraverso la pratica del combattimento. Non riconoscerlo non può che causare un profondo squilibrio destinato, prima o dopo, a danneggiare il praticante, l’accademia e, in definitiva, l’intero movimento.

 

Ogni attività posta come primaria ed escludente il lavoro interiore nella pratica marziale, è da ritenersi a tutti gli effetti un’usurpatrice. Essa può convivere con la difesa personale o addirittura con la pratica sportiva, può e dovrebbe esserne in realtà la base, ma essa non può per nessuna ragione essere scalzata se non a conseguenza di una dissoluzione di significato della pratica marziale stessa.

 

Siamo giunti in un momento in cui tale reintegrazione non può più attendere, non può essere scansata oltre.

 

Compreso questo bisogna passare alla pratica, bisogna sviluppare creativamente una didattica che, realizzato quanto detto, sia in grado di assolvere questo nuovo compito includendo una conoscenza sia tecnica che umana, che sappia riconoscere i collegamenti fra un movimento esteriore ed il suo riflesso interiore.

 

Che sappia, attraverso la pratica, elevare interiormente lo studente e, attraverso l’elevazione interiore, renderlo più efficace nel combattimento.

 

Che superi in definitiva l’illusione che il metodo sia qualcosa da raggiungere piuttosto che la presa di coscienza e relativo perfezionamento di facoltà già esistenti.

 

Che ritorni dunque Arte Marziale nel senso più concreto del termine.

 

Questo apre di certo scenari del tutto nuovi nel panorama marziale mondiale perché getterebbe le basi per una didattica innovativa con un orizzonte di crescita difficile da definire, mai effettivamente studiati fino ad ora seppur in profondità sentiti come necessari. Specialmente in Occidente.

 

Ad aiutarci nella comprensione del salto che la didattica deve fare in tutti i campi e specificatamente nel nostro ci può tornare utile un parallelismo con il mondo vegetale.

 


Possiamo dire che, come nel frutto rinasce il seme, la causa prima della pianta, così dall’attività sportiva sta rinascendo l’esigenza della pratica interiore nelle arti marziali. In una veste del tutto nuova.

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